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MALATI DI NIENTE
manuale minimo di sopravvivenza psichiatrica
INDICE 1.Dedica 3.Introduzione 5.Malati di niente
  2.Manuale di autodifesa 4.Modelli legali 6.Bibliografia



MALATI DI NIENTE

C'è una storiella su un paziente sottoposto alla prova del riflesso psicogalvanico. Gli viene chiesto di dire se è Napoleone e risponde di no. Il galvanometro registra una bugia (R.D.Laing)

Non esiste categoria di esseri umani che abbia collezionato più ragioni e subito più torti delle vittime volontarie (e involontarie) della psichiatria. Non esiste disciplina che abbia perseverato nei propri errori e difeso i suoi orrori come la (incon)scienza psichiatrica. Eppure siamo ancora qui, aldilà di ogni logica, buon senso o umanità, a discutere se dare credito e ragione ai primi, oppure lasciare che gli psichiatri continuino ad usare (e abusare) di loro.

Per decidere se esista o meno una malattia che colpisce la mente degli individui e li fa sragionare, abbiamo due strade. Individuarne le cause organiche, i processi biochimici, le disfunzioni, che producono queste trasformazioni incantate e/o inquietanti nelle persone che ne sono affette; oppure raccogliere le testimonianze e le richieste di aiuto delle persone che ne avvertono i sintomi e se ne sentono aggredite.

La psichiatria non ha mai ottenuto nessuna delle due prove. Tant'è che ha dovuto elaborare il concetto di non coscienza di malattia, facendolo assurgere a sintomo chiave della malattia mentale, annullando il confronto con l'esperienza e la volontà dei pazienti e facendo così a meno del loro consenso.

Si è malati di mente per il solo fatto di dichiarare di non esserlo. Si ha bisogno di cure per il solo fatto di rifiutarle. Tutto viene stravolto nella logica psichiatrica. Tutto ci viene rivoltato contro.

Malati (e incoscienti di esserlo) erano quegli uomini e quelle donne che hanno lottato fino all'ultimo istante per non farsi lobotomizzare da altri uomini e donne sane (e coscienti di farlo). Malati (e incoscienti di esserlo) coloro che si ribellano ai vigili urbani che li conducono a forza nei reparti, agli infermieri che li legano al letto o agli psicofarmaci che li rendono larve.

Non c' è niente in ciò che gli psichiatri fanno che assomigli ad un tentativo di dare risposta ad una malattia. Il loro scopo sembra essere convincere se stessi, la società e, soprattutto, i loro pazienti che sono malati e che hanno bisogno delle loro cure. A ben guardare la maggior parte delle parole che si usano in psichiatria (le cosiddette psicoterapie di sostegno, individuali o di gruppo), servono a convincere le persone della necessità che accettino le terapie senza opporre resistenza.

Il modo di sragionare degli psichiatri, se potessimo amplificare i loro pensieri, suonerebbe più o meno così:

La tua sofferenza e la tua singolarità, sappiamo di loro abbastanza cose (che tu neanche immagini) per capire che si tratta di una malattia; ma questa malattia, la conosciamo abbastanza per sapere che tu non puoi esercitare su di essa e nei suoi riguardi alcun diritto. La tua pazzia, la nostra scienza ci permette di chiamarla malattia e perciò, noi medici siamo qualificati per intervenire e diagnosticare in te una pazzia che ti impedisce di essere un malato come gli altri; dunque tu sarai un malato mentale . (M. Foucault 1975, La casa della follia, pagg. 168/169)


Ecco che se noi non abbiamo coscienza e controllo di ciò che ci accade e di ciò che siamo diventati, lo psichiatra assume la nostra tutela e sceglie per noi ciò che è meglio, ciò che ci fa star bene e ciò che dobbiamo evitare. Le nostre idee e le nostre opinioni smettono di essere tali. Le nostre parole vengono ascoltate come si auscultano i battiti del cuore. Diventano cose prive di senso e di significato, sintomi di malattia (quando esprimono opinioni e scelte diverse da quelle del terapeuta) o di miglioramento (quando si piegano alla sua volontà).

Un esempio ci viene da quanto scrive l'inventore della schizofrenia, il dott. E. Bleuler,

Da dieci anni un paziente mi dà periodicamente dei fogli di carta su cui sono scritte sempre le stesse quattro parole che significano che è ricoverato ingiustamente. Non importa se me ne dà una dozzina in una volta sola; non capisce che è insensato, quando gli si chiede una spiegazione. (E. Bleuler 1985, Dementia praecox o il gruppo delle schizofrenie, pag. 76)


Ha ragione David Cooper quando dice che le diagnosi psichiatriche sono solo modi di non vedere. Aggiungo che sono anche modi di non sentire e non capire. Modi attraverso cui si annulla la possibilità di essere e agire di chi vi è sottoposto. La malattia mentale è solo un giudizio che alcune persone esprimono sui comportamenti e il modo di pensare di altre. Questo giudizio normalmente non è richiesto, né è condiviso, dalle persone che lo subiscono. Non solo. A differenza di tutte le possibili opinioni che altri possono esprimere sul nostro modo di fare, i punti di vista di uno psichiatra annullano e sostituiscono sempre i nostri.

Bleuler non viene sfiorato dal dubbio che l'internato possa avere ragione. Al contrario, la pratica psichiatrica parte dal presupposto che le sue ragioni corrispondano ai sintomi della sua malattia.

Voglio che ricordiate che, nello stato attuale della nostra società, il paziente ha ragione e voi avete torto . (H.S.Sullivan, cit. in R.D.Laing 1980, La politica dell'esperienza, pag. 109)


Possiamo sottoscrivere questo suggerimento che lo psichiatra Sullivan usava dare ai suoi giovani colleghi. Il paziente ha ragione sia quando valuta, accetta o rifiuta le terapie che gli vengono proposte, sia quando comunica o tenta di spiegare (e spiegarsi) quanto gli sta succedendo.

Così Nerina, internata in manicomio negli anni '60, è paranoica perché ha paura che non uscirà più. Come Francesco che non mangia da giorni per paura che la madre gli faccia ingurgitare col cibo gli psicofarmaci. O Carmelo legato in un letto per punizione per aver tentato di slegare alcuni compagni di prigionia. Hanno ragione intanto perché chi afferma di curarli ha torto.

Infatti, come scrivono Laing e Esterson:

Che un paziente soffra di un processo patologico può essere un fatto, un'ipotesi, un'opinione o un giudizio. Nel caso della schizofrenia, ritenere che sia un fatto è, senza alcun dubbio, falso; ritenere che si tratti di un'ipotesi, è leggittimo; formarsi questa opinione, o formulare il giudizio, non è necessario. (R.D.Laing e A. Esterson 1970, Normalità e follia nella famiglia. Undici storie di donne, pag. 6)


Non è mai stato dimostrato che le persone sottoposte a trattamenti psichiatrici soffrano di alterazioni o malattie cerebrali. Al contrario è certo che i trattamenti psichiatrici hanno prodotto (e producono) danni fisici evidenti e dimostrabili. Se vogliamo stare ai fatti non c'è niente di sensato in questo nostro ostinarci a credere che la spiegazione, il significato o il senso da dare ai nostri comportamenti e alle nostre scelte possa risiedere nel nostro cervello. Così come non è sensato lasciare che gli psichiatri continuino a sperimentare le loro teorie e terapie su esseri umani viventi e non consenzienti.

Lo psichiatra Thomas Szasz afferma da decenni che la malattia mentale è solo un mito, che non ha alcuna base scientifica e, soprattutto, che non serve a spiegare quello che succede dentro la testa o nel comportamento delle persone che si dice ne siano affette. Definire qualcuno un malato di mente, non ci dice niente sul suo stato, i suoi sentimenti, i suoi bisogni, serve a giustificare solo ciò che gli verrà fatto.

Nessuno dei sintomi che la psichiatria afferma essere caratteristici della malattia mentale ha a che fare con il modo in cui funzionano gli organi dei suoi pazienti. Nessuno di questi sintomi può essere rivelato da indagini strumentali, analisi chimiche, radiografie...per il semplice fatto che le evidenze su cui si basa la diagnosi di malattia mentale si riferiscono a quanto le persone dicono o pensano di se stesse e a quanto gli altri dicono o pensano di loro.

Non si è malati di mente per il fatto di dire di essere Napoleone. Lo si è solo se gli altri intorno non condividono questa nostra opinione. Il fatto di essere definite persone sane o malate di mente non dipende da qualcosa che non va nel nostro cervello, ma dal modo in cui gli psichiatri valutano il nostro modo di agire. A loro volta gli psichiatri, nell'esprimere i loro giudizi, non si basano su criteri scientifici o prove mediche, ma su ciò che il senso comune ritiene accettabile (o meno) in un dato momento storico.

Non c'è malattia mentale o idea patologica che non sia stata considerata in passato normale o che non lo possa diventare col tempo. Pensiamo a tutte le esperienze visionarie su cui si fonda gran parte della nostra cultura e della nostra concezione del mondo, che oggi vengono considerate malattie allucinatorie; oppure alle migliaia di donne internate e lobotomizzate perché affette da follia morale, malattia mentale che le faceva sragionare a tal punto da pensare di poter abbandonare i loro mariti. La psichiatria per anni ha internato e curato chi si masturbava, chi viveva la sua sessualità in maniera consapevole, chi era di pubblico scandalo...

La scelta di ciò che va definito malattia mentale è culturale. Le malattie mentali non vengono debellate. Semplicemente smettono di essere considerate tali e diventano modi accettabili di esistere. Si veda ad esempio il caso della scelta omosessuale, per anni definita sintomo di malattia mentale e oggi ad un passo dall'essere riconosciuta giuridicamente come opzione familiare.

Si potrebbero fare migliaia di altri tragici esempi della funzione di copertura ideologica che la psichiatria dal suo nascere ha svolto. Essa fornisce infatti una teoria e strumenti efficaci per neutralizzare e tenere sotto controllo esperienze, comportamenti e persone che, a vari livelli, mettono in crisi l'ordine mentale, familiare e sociale in cui viviamo.

Accade così che persone spesso miti vengano definite come una minaccia e trattate come pericolosi criminali. In realtà esse costituiscono una minaccia loro malgrado. Non c'è infatti niente di pericoloso in loro. Il problema è fra di noi.

Che tipo di minaccia costituisce Augusto fermo davanti al suo muro in attesa? Quale richiesta di aiuto muove i medici e quale pericolo spinge i vigili urbani ad intervenire? Nessuno. Augusto ha semplicemente scelto di abbandonare ogni cosa e cercare da eremita una sua verità. Ciò che un tempo era ricerca di santità, oggi è puro delirio. Eppure la sua storia è simile a quella di San Paolo sulla via di Damasco. Augusto ha visto la luce e dio gli ha parlato. Gli ha detto ciò che ha sempre detto a tutti i santi e i mistici di ogni epoca e luogo. E Augusto ha risposto come hanno fatto tutti.

Anche Giorgio ha parlato con dio, in una fredda notte d'inverno di 40 anni fa. Lui gli aveva indicato la terra promessa e comandato di raggiungerla. Aveva tentato di farlo, ma lo avevano fermato, arrestato e condotto nel manicomio in cui è invecchiato.

E' leggittimo ipotizzare che il cervello e i sensi di Augusto siano alterati al punto da stravolgere la sua percezione della realtà. Ma questo vale per ogni percezione, idea e comportamento umani. Non c'è nessuna ragione scientifica o medica per dire che il cervello di Augusto sia malato e quello di E. Moniz, premio Nobel per la medicina per l'introduzione della lobotomia fra le pratiche terapeutiche, sano. Un'idea o una scelta possono essere condivise o meno, giudicate morali o immorali, penalmente rilevanti o irrilevanti, sacre o blasfeme... ma non si può sensatamente considerarle sane o malate. Le idee non sono sintomi del funzionamento cerebrale. Non è il cervello a pensarle. Così come non è l'adrenalina a farci battere il cuore e a mandarcelo in gola quando ci innamoriamo.

Dire che esiste una cosa chiamata malattia mentale significa appunto che qualcosa nella nostra biochimica o nella nostra storia fa sì che noi pensiamo delle cose che altri giudicano insensate. Funzionava bene il cervello di chi pensava che la terra fosse piatta e il sole le girasse intorno? La nostra risposta è che sbagliava, che gli mancavano strumenti e conoscenze per poter elaborare un'idea precisa sulla natura delle cose. E cosa pensiamo della biochimica cerebrale dello psichiatra che osservando i metodi di uccisione dei maiali sperimentò per primo l'elettroshock? Crediamo forse che questa idea sia stata partorita da una mente malata? O piuttosto parliamo anche qui di errore, di sperimentazione, di sbagli sul cammino della conoscenza?

Su Augusto invece non abbiamo dubbi. Quello che dice è frutto di una biochimica alterata. Egli non si sbaglia, né ha ragione : è gravemente ammalato.

In linea di principio non c'è alcuna differenza in questi esempi. Tranne per il fatto che la storia ha mostrato l'errore della concezione della terra come centro dell'universo e l'orrore della pratica dell'elettroshock in medicina, mentre nessuno può ragionevolmente o scientificamente dimostrare che Augusto non abbia ragione.

In genere definiamo i pensieri patologici come pensieri indimostrabili che producono sofferenze a chi li pensa e in chi li ascolta. Se accettiamo di applicare questa definizione ad Augusto, dobbiamo prima applicarla agli psichiatri che hanno praticato la lobotomia e l'elettroshock, o che oggi prescrivono gli psicofarmaci e formulano diagnosi di malattia mentale. Tutte le azioni di uno psichiatra, dalla definizione al trattamento della malattia, si basano su idee indimostrate e su giudizi morali. Non solo. Esse sono state (e sono) fonte di sofferenze e violenze inaudite nell'esistenza delle persone a cui sono dirette.

Possiamo sensatamente pensare che non ci siano limiti alle possibilità di percezione umana. Così come che non occorra che le cose siano visibili per essere reali.

In questa stanza, ad esempio, non viste si accavallano onde sonore che non sono in grado di percepire, suoni e parole di gente concreta che si scambia messaggi e emozioni via radio. Accadono cose concrete intorno (e dentro di) me, ogni attimo senza che io riesca a vederle o sentirle. In questo istante il mio cuore ha pompato il mio sangue in circolo: non c'è niente di più stramaledettamente reale di questo per noi, eppure ci è invisibile.

Potremmo dire che ciò che c'è di più essenziale per la nostra sopravvivenza fisica e psichica non è alla portata dei nostri sensi. Così come sfugge alla nostra percezione ciò che muove e dà senso alle nostre esistenze. Esperienze come quelle emotive, sentimenti come odio e amore, idee come libertà e razzismo, non sono cose, non hanno corpo, consistenza, realtà fisica, eppure riescono a muovere e a determinare le nostre scelte, la nostra storia, i nostri corpi.

La realtà dei nostri sentimenti non ha niente da invidiare ai cataclismi naturali a cui possiamo andare incontro. Il sentimento è elemento costitutivo della nostra realtà di esseri umani al pari delle cellule viventi .

Non è reale solo quello che facciamo, ma anche quello che pensiamo o che sentiamo. La sensatezza del nostro agire non sta nei nostri comportamenti ma nelle motivazioni o giustificazioni che sappiamo trovare. Il fatto che Augusto di notte rimanga al freddo davanti ad un muro non ci sembrerebbe insensato se lui fosse una sentinella militare. Se Augusto si comportasse così in risposta all'ordine di un'autorità costituita il suo comportamento non darebbe adito a dubbi di patologia. Potrebbe sganciare la bomba su Hiroshima, passare coi cingolati sui corpi indifesi dei giovani di piazza Tienamen, partecipare al massacro degli indios dell'Amazzonia. In nessuno di questi casi sarebbe chiamato malato. Correrebbe più rischi di psichiatrizzazione se si rifiutasse di obbedire a quegli ordini o, peggio, se si pentisse di averlo fatto. E' emblematico il caso dell'aviatore di Hiroshima. Sano di mente fino al momento del massacro. Malato dopo perchè oppresso dal senso di colpa.

Cosa c'è di normale e sensato in questo nostro modo di ragionare? E può bastare dire, per affermare che noi abbiamo ragione e Augusto torto, che pochi abbandonano tutto per vivere da barboni, che nessuno lo trova sensato, che nessuno lo accetta?

Proviamo ad usare una metafora.

Da un punto di osservazione ideale si può osservare da terra una formazione di aeroplani. Può darsi che un aereoplano sia fuori formazione; ma l'intera formazione può essere fuori rotta. L'aereoplano che è fuori formazione può essere anormale, in errore o impazzito dal punto di vista della formazione; ma la formazione stessa può essere in errore o impazzita dal punto di vista dell'osservatore ideale. Inoltre l'aereo che è fuori formazione può essere più o meno fuori rotta di quanto lo sia la formazione stessa . (R.D.Laing 1980, La politica dell'esperienza, pag. 118)


Il punto di vista della psichiatria è quello che riguarda la nostra posizione nella formazione. Siamo considerati normali se stiamo al nostro posto nella formazione, indipendentemente da ciò che facciamo e dal luogo verso cui andiamo.

Un punto di vista diverso potrebbe leggere quell'anomalia come una ricchezza della formazione, un'esplorazione delle possibili rotte e delle possibili mete che essa può proficuamente intraprendere. Purtroppo la nostra normalità non sembra attrezzata ad accettare le differenze e a valorizzarne gli aspetti evolutivi. Tutti i nostri sforzi sono tesi a tenere unita la formazione anche se essa ha perso la bussola, la rotta e non ricorda più la meta che doveva raggiungere.

Se la formazione si trova fuori rotta, l'uomo che sa veramente rimettersi in rotta deve lasciare la formazione. (R.D.Laing 1980, La politica dell'esperienza pag. 119)


Nessuno lo fa con l'intento di non tornare più in formazione. In realtà è la formazione stessa che si ricompatta al punto da non permettere alla persona di rientrare. Più avanti cercherò di fornire alcune coordinate a coloro che vagano nello spazio infinito che c'è aldilà della formazione. Informazioni trasmesse dagli altri veicoli dispersi e dalle loro radio di bordo che continuano a trasmettere inascoltate il loro S.O.S.

La diagnosi di malattia mentale è quindi solo una questione di punti di vista. I pazienti psichiatrici stessi concordano spesso coi loro carcerieri circa la natura patologica dei comportamenti dei loro compagni di prigionia. Siamo tutti molto puntuali a riconoscere la follia altrui. Stentiamo, o ci è impossibile, riconoscere in noi la stessa irrazionalità. Il punto di vista del paziente e dello psichiatra si identifica quando si tratta di valutare altri. Diverge quando lo psichiatra passa a valutare il suo comportamento. La contraddizione è soltanto apparente e non ha niente a che vedere con la non coscienza di malattia di cui parlano gli psichiatri. In realtà Augusto dice di non essere malato perchè non avverte in lui i sintomi che ha imparato essere caratteristici della malattia mentale. Non si sente confuso, non soffre, è cosciente di tutto ciò che gli accade, sa quello che vuole e agisce di conseguenza. Se assumiamo il suo punto di vista personale non esiste niente che assomigli alla malattia mentale in ciò che vede, pensa o fa. Per lui tutto è chiaro. Sono gli altri semmai ad apparirgli strani e incomprensibili.

Se assumessimo come prioritario e inaggirabile il punto di vista delle persone con cui veniamo a contatto, avremmo chiaro che ciò che chiamiamo incomprensibilità non è altro che incomprensione. Tranciando via, come fa la psichiatria, la verità dell'esperienza soggettiva, noi creiamo solo dei mostri incomprensibili e inquietanti. Esseri imprevedibili da cui non sappiamo più cosa aspettarci.

Aurora ha costruito la sua identità e il suo punto di vista sul mondo a partire da ciò che la nostra cultura considera reale, accettabile e possibile. E' una di noi. Pensa come una di noi. Applica le nostre stesse categorie, usa la nostra stessa razionalità, gli stessi principi di causalità... Forse sta qui, in questa appartenenza al reale, la radice di tutti i suoi guai con la psichiatria.

Aurora viene internata e curata perchè ossessionata dalle voci di vicini che le parlano da ogni angolo della casa. Per farli smettere ha pensato di denunciarli, di chiedere giustizia e protezione alla polizia. Il risultato è che si è ritrovata lei prigioniera, accusata di schizofrenia e delirio di persecuzione. Quello che ha fatto non è una follia. E' solo un modo razionale di rispondere ad un'esperienza impossibile. Siamo preparati ad affrontare vicini fastidiosi, rumorosi e invadenti. Ma nessuno ci ha mai insegnato cosa fare quando questi, in una qualche maniera che ci è sconosciuta, assumono il controllo della nostra casa, degli elettrodomestici o addirittura dei nostri cari. Paradossalmente è l'uso della nostra razionalità che ci fa sembrare folli.

Non c'è dubbio che Aurora, a differenza di Augusto, soffra maledettamente di questa invasione non richiesta dei vicini nella sua vita. Ma il trattamento che le si riserva non differisce per niente da quello proposto per Augusto. Per la psichiatria non c'è alcuna differenza fra loro. Sono affetti dalla stessa patologia, hanno bisogno dello stesso aiuto.

Ma di cosa soffre Aurora? Se si sta ai fatti e ai suoi vissuti, lei si dispera nell'essere indifesa di fronte all'attacco feroce dei suoi persecutori. Soffre di non essere creduta dai suoi familiari, del senso di spossatezza e vuoto che le danno gli psicofarmaci, dell'essere rinchiusa e trattata come una povera pazza... La diagnosi e il trattamento psichiatrico non solo non la proteggono dai suoi aguzzini, ma le chiudono anche tutte le vie d'uscita.

La psichiatria è incapace di sentire e capire la sofferenza di Aurora. E' incapace di rispettarla e di affrontarla. Nella logica psichiatrica non si può soffrire realmente di una cosa che non esiste. Non esistendo il persecutore non esiste neanche la paura e il terrore che Aurora prova. Lei crede di essere perseguitata, quindi immagina di soffrirne.

La psichiatria è quanto di più lontano c'è dalla possibilità di lenire le sofferenze psichiche di un essere umano. Intanto perchè non le riconosce come tali, poi perchè non le considera reali ma frutto di alterazioni cerebrali. Definendo malattie i nostri sentimenti, noi eliminiamo e non diamo credito al vissuto delle persone. Aurora potrà quindi gridare per giorni straziata dai suoi persecutori, chiusa in una stanza di ospedale, senza che nessuno si senta realmente toccato dalla sua sofferenza. Senza che nessuno muova un dito, chiami i carabinieri, mandi via coloro che la vogliono uccidere. L'unico intervento sarà quello di impedirle di urlare.

Usiamo dire che i pazienti psichiatrici stanno male. Lo diciamo di Aurora ma anche di Augusto. Vogliamo fondamentalmente dire una cosa diversa da soffrono. Affermiamo che si comportano in un modo o fanno delle scelte di cui non sono consapevoli e che, se sani, non farebbero. Stare male è sinonimo di non essere in sè'. A sua volta non essere in sè' si può tradurre in non essere come gli altri ci vedono o si aspettano che siamo. Il terrore di Aurora non conta. Conta molto di più l'angoscia dei suoi familiari. Conta il fatto che per tentare di vincere questa sua battaglia impossibile, Aurora smetta di accudire alla casa, di lavarsi, di cucinare.

La gioia di Augusto non conta. Conta solo l'ansia della madre per quello che può succedere al figlio. Conta il fatto che, per seguire la sua strada, egli abbia abbandonato la sua casa, i suoi averi e la sua identità sociale.

L'unica sofferenza a cui risponde la psichiatria è quella dei nostri cari che non accettano, non tollerano, non comprendono che siamo cambiati e che, nel bene o nel male, non siamo più gli stessi.

La persistenza del concetto di malattia mentale, aldilà della sua inconsistenza scientifica e degli effetti alienanti che produce, si deve proprio alla possibilità di far fronte a queste inquietudini socio-familiari. Se Augusto è un malato di mente, allora possiamo non rispettare le sue scelte, non credere a quello che dice, obbligarlo a tornare a casa. Se Aurora è malata di mente, quello che dice non ci riguarda, se ci accusa sta delirando, se si dispera immagina tutto.

La malattia mentale ci protegge dal contagio e dal confronto coi nostri cari. Ci aiuta a non dar credito a quanto dicono e a prendere decisioni per loro conto. Senza questa copertura dovremmo imparare a fare i conti con tutte quelle esperienze e vissuti che mettono in dubbio la realtà fisica e psichica in cui viviamo e la normalità che rivendichiamo come fosse un fatto naturale.

In realtà vale per la cosidetta malattia mentale quanto scrive R.D. Laing sulla schizofrenia:

Nessuno ha la schizofrenia, nel senso che intendiamo quando diciamo che uno ha il raffredore. Il paziente non ha la schizofrenia: è schizofrenico (R.D.Laing 1969, L'io diviso, pag. 21)

Non abbiamo di fronte una personalità alterata da qualche fattore esterno o preda di qualche processo patologico, ma una persona che è quello che dice, quello che pensa e quello che fa. Curandola della schizofrenia noi non svolgiamo un'azione sanitaria, semplicemente cerchiamo di impedirle di essere quello che è. Se ciò è comprensibile, non è tollerabile la mistificazione che operiamo con la copertura della psichiatria.

Dovremmo dire le cose come stanno, ammettere la nostra inquietudine e lo smarrimento che proviamo di fronte a Cesare disteso per terra o ad Antonio che parla con gente che non vediamo. E invece affermiamo di sapere cosa gli accade e di cosa hanno bisogno e, quel che è peggio, agiamo di conseguenza.

Di questa presunzione, di questo errore, di questa paura si nutre l'orrore psichiatrico.