MALATI DI NIENTE
COME SE
il mito della psichiatria alternativa
Non so cosa hanno i miei pazienti,
so quello che non hanno più,
quello che hanno perduto,
mi rendo conto di quello che hanno fatto loro,
di quello che ne hanno fatto...
(F. Basaglia)
C'è una psichiatria che ama definirsi alternativa. Alternativa a chi o a che cosa? Un tempo senz'altro
al manicomio e alle sue pratiche. Oggi alternativa ad altri approcci psichiatrici di cui usa i mezzi,
riproduce le logiche, condivide i termini.
Esiste forse un modo alternativo di dare dello schizofrenico ad una persona che non comprendiamo?
Esiste un modo alternativo di somministrare psicofarmaci per far smettere qualcuno di essere
irragionevole? Esistono motivazioni alternative a quelle portate da chi per decenni ha praticato la
lobotomia, per imporre i ricoveri coatti?
Ogni pratica psichiatrica dice di voler curare le persone di una malattia di cui non sono consapevoli.
Ogni pratica psichiatrica cerca di convincere i pazienti a smettere di credere alle loro sensazioni,
esperienze e alla loro mente perchè malate, proponendogli (e imponendogli) di cambiare idea, pelle,
essenza.
La differenza fra le psichiatrie non sta nei fini ma nei mezzi che usano per raggiungere questo
azzeramento dell'invisibile, questa negazione dell'impossibile, questo genocidio della passione.
Per i non addetti ai lavori ci può essere una differenza sostanziale fra una psichiatria che rinchiude
in gabbie e imprigiona le persone come bestie, e una psichiatria che espone i suoi utenti involontari
all'occhio compassionevole e pietoso del pubblico in un teatro di provincia. Lì ci sono catene reali,
violenza, arbitrio. Qui un'apparenza di realtà, un velo di normalità, un mondo di come se che ti
imprigiona. La differenza fra psichiatria manicomiale e psichiatria alternativa sta proprio in questa
trasformazione della prigionia dei loro utenti: dalla prigione del corpo al corpo come prigione.
Uno schizofrenico non va più necessariamente rinchiuso. Oggi con la diagnosi di schizofrenia vengono
forniti al soggetto, alla famiglia e alla società una serie di istruzioni d'uso che permettono di
controllare e neutralizzare ogni sua possibilità di vita reale e di scambio con la realtà.
La grande rivoluzione scientifica della psichiatria alternativa sembra consistere nella scoperta che
coinvolgendo persone fuori dal comune in situazioni ordinarie, le si può far apparire a lungo andare
come se fossero normali. Con il manicomio c'era la rinuncia al cambiamento. C'era una sorta di
affermazione perversa della diversità ontologica della persona ivi ricoverata. A suo modo una forma
di rispetto di questa irrazionalità senza limiti e tempo che, se non poteva essere modificata, non
poteva neanche essere lasciata libera di travolgere l'ordine razionale delle cose.
Lo psichiatra manicomiale non ha mai creduto alla possibilità di normalizzare le sue vittime. Le
riteneva irrecuperabili alla vita ordinaria. Da parte sua invece lo psichiatra alternativo non solo
propone una normalità per finta, ma fa anche finta di crederci.
Crede che Anna, la sacerdotessa di dio, si sia arresa all'evidenza ora che coltiva la terra in una
cooperativa di lavoro; che Salvatore abbia rinunciato a tornare alle origini del tempo, ora che è
inserito in una comunità terapeutica; che Franco abbia smesso di parlare con le sue voci, ora che ha
accettato di praticare psicofarmaci. Che sono insomma rientrati in qualche modo nella norma,
riconoscibili e comprensibili da tutti.
Che importa se dietro quel sorriso incantato di Salvatore c'è un mondo di entità, voci, visioni e
verità, che non verranno mai alla luce, perchè nessuno accetterà mai che abbiano gambe e fiato per
camminare su questa terra della ragione (e dell'esilio). Che importa se non potrà mai parlare di ciò
che realmente sente ed è. Se dovrà sempre prestar ascolto e ubbidire a chi vorrà aiutarlo secondo
priorità che non sono le sue. A chi non sa, non vede, non capisce.
La psichiatria alternativa ha come messo fra parentesi, per usare un termine caro a Franco Basaglia,
queste esperienze ed esistenze, cercando di difenderle da una realtà sociale e umana che ritiene
impreparata ad accettarle. Se col manicomio tenevamo prigioniere le persone per difenderci dalla loro
ollia, oggi le rinchiudiamo per difenderle da noi.
Uno psichiatra cade sempre in piedi. Che sia manicomiale o alternativo non fa alcuna differenza. La
sua violenza è terapia; il suo silenzio neutralità terapeutica; le sue droghe farmaci; i suoi
pregiudizi diagnosi. Non c'è orrore psichiatrico che non sia stato giustificato con l'urgenza di
urare le persone di patologie che non ritenevano di avere. Non c'è terapia psichiatrica che non sia
tata imposta con il pretesto della non coscienza dell'altro.
La nuova psichiatria si orienta alla creazione di ambienti di vita, relazione e lavoro protetti,
supervisionati da equipe psichiatriche. Nascono così le case famiglia, le residenze protette, la case
albergo. Luoghi di residenzialità psichiatrica alternativi al manicomio. Nascono le cooperative di
lavoro integrate, alternative all'ergoterapia (lo sfruttamento del lavoro nero dei ricoverati in
manicomio). Nascono i servizi di salute mentale, aperti 24 ore su 24, alternativi alla presa in carico
totale dell'istituzione. E così via.
Si può descrivere la psichiatria alternativa come l'immagine speculare del manicomio. In essa esiste
una continuità teorico-pratica che ha perpetuato le radici della violenza e dell'arbitrio psichiatrico
oltre le mura manicomiali. Una sorta di politica di riduzione del danno in cui gli psichiatri
alternativi non se la sono sentita di riconoscere fino in fondo l'elementare diritto delle persone di
essere come sono e di essere accettate, comprese o fraintese per quello che dicono, pensano o fanno.
Hanno perpetuato la divisione, illogica e tragica, fra pensieri sani e malati, fra motivi razionali e
insensati, fra scelte di vita sane e scelte patologiche. Ergendosi ancora una volta a giudici
universali dei nostri destini.
Cambiano i luoghi dove possiamo essere rinchiusi contro la nostra volontà, resta intatto il potere di
farlo della psichiatria. Cambiano le terapie che possono somministrarci, resta in piedi il potere di
imporle. Cambiano le diagnosi con cui ci definiscono, resta invariata la loro inconsistenza scientifica.
Ai miei occhi, la psichiatria di comunità diviene facilmente un modo di
capovolgere l'ospedale psichiatrico, nel senso di rivoltarne l'interno all'esterno, e fare di tutta la
comunità un grande ospedale psichiatrico, senza inferriate e senza porte chiuse. Per risparmiare
denaro, si addestrano i familiari a far da infermieri, poi si usano squadre volanti per fare gli
elettroshock a domicilio, e si applicano efficacemente camicie di forza farmacologiche per mezzo dei
tranquillanti. E poi ci sono squadre di professionisti che impiegano il loro tempo per trovare lavori
senza senso per i pazienti, e per riadattarli e far loro credere che non sono più stigmatizzati per il
fatto di essere malati, e così via. Così si riesce a far fare alla comunità il lavoro sporco che prima
si faceva all'interno dell'ospedale . (R.D.Laing, A.Esterson 1970, Normalità e follia nella famiglia.
Undici storie di donne, pag. XLI)
La psichiatria alternativa è una trappola mortale. Tutto ciò che ci sta intorno viene duplicato. Le
relazioni, i mobili, il lavoro, la gioia, il dolore... niente è ciò che sembra. Tutto appare come se
fosse normale. Ma niente è più come prima.
Noi non ci divertiamo, siamo socializzati. Non andiamo in gita, siamo riabilitati. Non lavoriamo,
siamo reinseriti socialmente. Non abitiamo, siamo ospiti. Non siamo ascoltati, siamo curati. Non
abbiamo relazioni, facciamo psicoterapia... Il mondo che la psichiatria ci costruisce intorno
assomiglia al mondo di sempre, ma è un altro mondo.
Un mondo e una vita su cui non abbiamo alcun potere, affidati come siamo alle scelte e al giudizio
altrui. Costretti a giustificare quanto facciamo e a dimostrare tutto ciò che diciamo. Non abbiamo
alcun credito, nè alcuna credibilità. Non ci è dato di scegliere quando e se stare soli o chi
frequentare. Non possiamo realizzare le nostre idee, fare i nostri viaggi, mangiare ciò, quando e
quanto vogliamo, andare in giro vestiti come più ci pare. Una volta diagnosticati, la psichiatria
alternativa prende in mano la nostra vita interiore, relazionale e sociale, cercando di farci apparire
come se fossimo normali. Se il manicomio negava il diritto alla comunicazione e alla socialità degli
internati, sequestrandoli dal loro ambiente di vita e rinchiudendoli, la psichiatria alternativa
impone una comunicazione e una socialità forzate, in cui la scelta di cosa, quando, come e a chi
comunicare è prerogativa dei curatori.
Non più prigionieri, ma in libertà vigilata, agli arresti domiciliari, al confino obbligato. Può
sembrare un passo avanti e invece è una tragica beffa.
Non hanno chiuso i manicomi, hanno semplicemente moltiplicato i luoghi e le occasioni di
psichiatrizzazione delle esperienze umane. Non c'è casa, posto di lavoro, giardino, cortile, bar,
scuola... che non possa essere usato come reparto psichiatrico, non c'è persona che non possa essere
arruolata a farci da infermiere, non c'è alimento che non possa essere contaminato con psicofarmaci.
La psichiatria alternativa ha cosparso la nostra esistenza di trappole, di linee invisibili che una
volta oltrepassate ci imprigionano in un mondo dove tutto è falso, dove nulla è quello che è e tutto
sembra come se fosse normale. Un mondo da cui non possiamo scappare come facevamo dal manicomio, perchè
è fatto delle cose, degli affetti, delle persone che ci appartengono. In realtà non c'è più un posto
da dove scappare, nè dove andare. Non c'è differenza fra dentro e fuori. Troviamo la stessa pietà, la
stessa incredulità, la stessa incomprensione, la stessa violenza, sia dentro che fuori una casa famiglia.
Potremo anche mangiare ogni giorno e dormire sotto un tetto, e magari freguentare una palestra, fare
danza e costruire giocattoli di legno, ma continueremo a non essere ascoltati, creduti nè aiutati a
capire e ad agire la nostra esperienza, a ritrovare il nostro spirito rubato o costruire una macchina
per raggiungere le radici del tempo.
Potremmo dare da mangiare e fornire da dormire alle persone senza stare a sindacare se sono malati
per il fatto che non condividono la vita dei loro padri o che non hanno un soldo per mangiare, che
stanno in strada alla ricerca del Graal o che non mangiano per paura delle radiazioni solari. E' un
gioco sporco quello di psichiatrizzare bisogni di sopravvivenza personale e sociale. E' iniquo dettare
condizioni a chi non ha risorse per sopravvivere.
A ben guardare la psichiatria alternativa cerca, nella migliore delle ipotesi, di distrarre le persone
dalle loro esperienze. Nella peggiore, le inserisce in un circuito di normalizzazione forzata in cui
le rende caricature di se stesse. Per farlo usa la persuasione ma anche la minaccia. Gli strumenti di
coercizione infatti non sono mai stati abbandonati dalla psichiatria, come sa bene ogni ospite delle
strutture alternative che decida di smetterla con quel mondo di serie B. Il Trattamento Sanitario
Obbligatorio e il ricovero coatto non hanno niente da invidiare agli interventi manicomiali. Se non si
usano le camice di forza, ci sono le fasce o gli psicofarmaci. La porta è chiusa a chiave, le tue
opinioni sono deliri, la violenza che usano contro la tua volontà terapia.
Tutto sembra normale finchè qualcuno non rivela il segreto di pulcinella o grida che il re è nudo.
Come nel manicomio, tutto procede bene fino a che si sottostà alle regole e si accettano i punti di
vista dei curatori. Non ha importanza quanto mediocri, inumani, insensibili, essi siano; avranno
ragione su di noi come hanno avuto ragione di Kipling, Nietzsche, Van Gogh, Artaud...
Una casa famiglia è meglio del manicomio. Gli psichiatri alternativi credono che per i loro utenti
volontari e involontari non possa esservi altra vita se non quella protetta da loro, supervisionata
dai servizi psichiatrici, definita nelle loro anamnesi.
Il meglio per un uomo, probabilmente, non è avere un luogo, un qualsiasi luogo, in cui vivere, avere
delle persone, qualsiasi persona, con cui condividere la propria esistenza, dei vestiti, qualsiasi
tipo di vestiti, con cui mostrarsi... Il meglio per un uomo, probabilmente, è essere considerato tale.
E non si è considerati uomini, persone o esseri umani da chi da decenni non insegue altro che il sogno
di guarirci della malattia di essere noi stessi.
Possiate ricordarvene domattina, all'ora in cui visitate, quando tenterete,
senza conoscerne il lessico, di discorrere con questi uomini sui quali, dovete riconoscerlo, non
avete altro vantaggio che quello della forza
(A. Artaud, cit. in L. Forti 1979, L'altra pazzia, pag. 30)