INTRODUZIONE
Quando lei mi chiede Che cos'è la malattia mentale, se vuol chiedermi: Ritiene
necessario formulare un tale giudizio di valore? - in questo caso la mia risposta è: NO
(R.D.Laing)
Sopravvivere alla psichiatria. Sopravvivere tutti. Nella mente e nei corpi. La psichiatria infatti non
solo mette in pericolo il nostro corpo, esponendolo all'arbitrio, alla pietà, al ridicolo e alla
reclusione...ma mina alla base la nostra stessa possibilità di esistere come esseri pensanti.
Ci hanno fatto credere che la psichiatria riguardi solo gli psichiatri e le loro vittime involontarie.
Noi stessi crediamo che il nonsenso e la violenza psichiatrica alberghi solo nelle menti e nel corpo
degli psichiatri, nei luoghi in cui essi operano. Ci ha fatto comodo pensare al manicomio come ad un
incidente. Ci siamo dati da fare per liberare gli internati continuando a chiamarli malati. Abbiamo
lottato contro i loro carcerieri continuando a chiamarli dottori. Abbiamo contestato le loro torture
continuando a chiamarle terapie. Abbiamo continuato a dichiararci innocenti continuando a definirci
incompetenti.
Ci dipingiamo come ingenui e inesperti, sempre pronti a stupirci di fronte alla barbarie psichiatrica.
Diciamo di essere stati presi in giro. La psichiatria ci ha ingannati: affermava di essere la cura
alla nostra incapacità di vivere e invece torturava i nostri fratelli.
Per troppo tempo ci siamo tirati fuori dal gioco. Siamo rimasti attoniti di fronte all'orrendo
spettacolo del manicomio. Abbiamo finto con noi stessi. Finto di non sapere di quelle scariche
elettriche che mandavano in tilt il cervello di migliaia di persone, finto di non vedere le inferriate,
finto di non sentire le urla strazianti dei sepolti vivi, finto di non capire che li avevamo condannati
a morte certa... Abbiamo finto con noi stessi quando parlavamo di ospedali, di cure o di sofferenze.
In realtà volevamo solo proteggerci, non farci toccare, non pensare, smettere di capire, difendere il
nostro equilibrio. Volevamo far smettere l'altro di spaventarci raccontandoci storie strane,
accusandoci di delitti, stravolgendo le cose. Volevamo che la smettesse di andare in giro, di fare
strani segni sul muro, di spostare i mobili di casa. Volevamo che ritornasse ad essere quello di prima,
quello che conoscevamo, quello da cui sapevamo sempre cosa aspettarci. Volevamo che capisse che non
poteva fare sempre tutto quello che voleva; che noi non l'avevamo mai fatto. E sì che ne avevamo avuto
voglia, ma non avevamo mai avuto il coraggio di esporci, esporre la nostra paura o la nostra rabbia,
il nostro stupore o la nostra fantasia.
Non abbiamo rinchiuso fratelli, figli, madri, padri o amici, ma estranei. Sosia che avevano preso il
loro posto, entità, fantasmi, angeli che si erano incarnati in loro e avevano preso possesso della
loro mente e del loro corpo. Estranei. Dannati. Malati.
Corpi da bruciare col fuoco della febbre malarica o dell'elettroshock. Meglio morti, pensavamo. Meglio
morti che pazzi. E la psichiatria li ha fatti morire e ha utilizzato i loro cadaveri in una danza
macabra. Ci siamo convinti che non sentissero più gli aghi, non sentissero più le cinghie che gli
serravano i polsi, la morte arrivare. Solo così abbiamo potuto costruire le nostre case, farci una
storia, vivere e gioire, come se non ci fossero mai stati. Morti e sepolti per sempre.
Chiuso il manicomio l'inganno continua. Non ci tengono più fuori dalle mura. Ci chiedono di collaborare,
di sostenere le cure, di stordire i nostri cari, convincerli a frequentare gli ambulatori, mettergli
il Serenase di nascosto nel bicchiere... Le nostre braccia e le nostre mani sono le nuove camice di
forza, le nostre case i reparti, le nostre piazze i cortili. Continuiamo a chiamarli medici, esperti
delle umane sofferenze, scienziati. A loro continuiamo ad affidare coloro che gli abbiamo strappato.
Quali altre prove devono darci? Quali altre vittime?
Qualcosa non va nel nostro decantato senso di realtà. Continuiamo a definire pericolosi a sè e agli
altri persone che non hanno mai fatto del male a nessuno, mentre permettiamo che i responsabili delle
torture manicomiali siano liberi di continuare i loro esperimenti su esseri umani non informati e non
consenzienti. Ci sembra ovvio accettare che lo psichiatra invada la mente e il corpo di persone che
non l'hanno richiesto, che distrugga la loro vita affettiva, sociale e sessuale, che lo insulti, lo
umili, che lo faccia legare in un letto... mentre continuiamo a ritenere irrazionale che queste
persone si ribellino, diano calci, cerchino di sfondare finestre per scappare... Si dice che i matti
siano pericolosi perché imprevedibili. Gli psichiatri, che sembrano non esserlo, lo sono invece per
statuto. Da loro ci aspettiamo che impediscano con ogni mezzo alle persone di esprimersi per quelle
che sono, sentono e pensano. La violenza della psichiatria è terapia. Quella delle sue vittime
malattia.
E noi? Qualcosa non va nella nostra mente se continuiamo a negare l'evidenza.
Noi siamo la psichiatria. Pur senza camici, siringhe e competenza, noi condividiamo la sua logica. Ne
abbiamo fatto anzi un pilastro del nostro senso di realtà. Sono queste nostre mani a immobilizzare le
persone nei letti, a scrivere le cartelle cliniche, ad azionare l'elettroshock, a telefonare ai vigili
urbani, a spingere dentro e a chiudere le porte.
La psichiatria ha la sua radice nella nostra paura di ciò che non riusciamo ad accettare, a
comprendere e a condividere. Questo è l'unico sentimento che ci unisce. Di questa paura sono fatti i
muri, i farmaci, le persone, le strette di mano, le cooperative di lavoro, le case famiglia e le
psicoterapie. Di questo universale e inarrestabile terrore di impazzire. Non diciamo abbiamo paura di
ascoltare, diciamo non c'è niente da capire. Non diciamo impeditegli di parlare, diciamo curatelo. Non
diciamo io non ti capisco, diciamo tu sei malato.
La malattia mentale è l'unica cosa che ci può salvare dall'essere accomunati al giudizio storico dato
alla Santa Inquisizione e allo sterminio nazista. Se potessimo dimostrare la sua esistenza potremmo
uscire assolti dal reato di crimini contro l'umanità. Ma soprattutto saremmo sicuri che ciò che le
persone vedono, sentono, pensano o fanno non ci riguarda e non riguarda neanche loro. Ha a che fare
con gli impersonali processi biochimici, col cervello e non con il cuore, con le sinapsi e non con le
relazioni, con la dopamina e non con gli dei.
La malattia mentale giustifica le nostre azioni e annulla quelle degli altri. Ci rende impermeabili
gli uni agli altri. Invisibili. Niente più vittime, né carnefici, né tantomeno mandanti.
Senza la psichiatria sarebbe impossibile giustificare quello che quotidianamente imponiamo a questi
esseri umani che non infrangono leggi e non ci hanno dichiarato guerra. Abbiamo un tale bisogno di
giustificare la nostra aggressività nei confronti di chi non si piega al nostro senso del reale, che
siamo prigionieri della psichiatria. Nessuno la usa. Tutti ne siamo usati. Anche gli psichiatri.
Questo libro propone un percorso teorico e pratico per liberarsi della e dalla psichiatria. E' un
manuale di autodifesa minimo. Una sorta di vaccino contro la contaminazione del morbo dell'intolleranza
e della paura.
L'urgenza di sopravvivere alla psichiatria non riguarda solo le sue vittime. Riguarda tutti coloro che
questo mostro hanno creato e hanno alimentato con le loro paure.
Molti non vedono il mostro di cui parlo. Forse non possono vederlo perché già guardano coi suoi occhi
e pensano con la sua mente.