MANUALE DI AUTODIFESA
OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO
brevi istruzioni
Non tutti siamo uguali di fronte alla legge. Alcuni di noi, se definiti malati di mente, hanno seri
problemi ad essere riconosciuti responsabili delle loro azioni, sia per quanto riguarda gli atti di
rilevanza civile che penale. L'istituto dell'interdizione legale una volta attivato produce la morte
civile dell'interdetto. I suoi atti non avranno più alcuna validità e la gestione della sua vita
passerà interamente in mano ad altri.
"La pronuncia dell'interdizione incide integralmente, infatti, sulla capacità giuridica del soggetto,
nel senso che essa crea preclusione rispetto a tutte le attività giuridicamente rilevanti. L'interdetto
non può far pressochè nulla: tutti gli atti da lui compiuti sono colpiti da invalidità (art. 427, 1°
comma, c.c.). Accanto alla disciplina generale dell'istituto si rinvengono poi, nel codice civile,
specifiche norme che - in relazione alle diverse situazioni - talora sanciscono l'impugnabilità degli
atti posti in essere dall'interdetto (contratto, art. 1425 c.c.; matrimonio, art. 119 c.c.;
riconoscimento del figlio naturale, art. 266 c.c.; testamento, art. 591 c.c.), talvolta precludono in
via preventiva all'interdetto la possibilità di compiere tali operazioni (matrimonio, art. 85 c.c.;
testamento pubblico, art. 591, comma 1°, n. 3 c.c.; donazione, art. 744 c.c.; incapacità di stare in
giudizio, art. 75 c.p.c.), ovvero dispongono l'automatico scioglimento dei rapporti giuridici
costituiti dall'interdetto... "
(P.Cendon, A.Venchiarutti in AA.VV. 1987, Psichiatria, tossicodipendenze, perizie, pag. 158)
Come si vede la pronuncia di una sentenza di interdizione toglie agli individui ogni possibilità di
scelta o di iniziativa.
Questo non è il solo campo in cui la legge interviene pesantemente per creare un percorso giuridico
particolare per chi viene definito malato di mente. Ciò accade anche nel campo dell'accertamento della
responsabilità penale.
Il codice penale infatti prevede che
"Nessuno può essere punito per un fatto previsto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha
commesso, non era imputabile. E' imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere" (art. 85 c.p.).
E ancora
"Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di
mente da escludere la capacità di intendere o di volere" (art. 88 c.p.)
Queste norme aprono le porte dell'ospedale psichiatrico giudiziario, già manicomio criminale, a quanti
vengano riconosciuti da un'apposita perizia psichiatrica incapaci di intendere e volere durante un
processo penale.
Tranne rare eccezioni, viene operata una correlazione automatica fra giudizio dello psichiatra, non
imputabilità e reato. Raramente si accertano i fatti e l'eventuale responsabilità dell'in-imputato.
Generalmente si dà per scontato che abbia compiuto il reato di cui è accusato e che lo abbia fatto
perchè fuori di sè in quel momento. In alcuni casi può non esserci il fatto, ma esso viene solo
presunto.
Anna, ad esempio, ha fatto due anni di manicomio criminale accusata di aver bruciato casa. Il fatto è
che casa sua è andata in fumo. Che ciò sia successo per sua scelta è solo un'ipotesi, ma viene
considerata come se fosse un fatto. Del resto ci troviamo di fronte ad una teoria che ritiene che i
nostri comportamenti siano sintomi di una malattia e che la malattia si manifesta attraverso i nostri
comportamenti. Anna è sicuramente in-colpevole dell'incendio di casa sua perchè ci si può aspettare di
tutto da lei. Non importa se l'ha fatto: ciò che conta è che avrebbe potuto farlo.
Mi chiedo cosa sarebbe successo se non fosse stata già un'utente psichiatrica. Si sarebbe verificato
accuratamente se l'incendio era doloso o meno, e, se lo fosse stato, si sarebbero indagate le
motivazioni e cercati i colpevoli, che non si sarebbe presunto fosse la persona che la abitava.
Forse Anna ha dato fuoco alla sua casa. Se ciò fosse stato appurato, forse avrebbe potuto dare una sua
spiegazione. Probabilmente avrebbe detto ciò che ci si aspetta dica chi compie un atto del genere: che
voleva chiudere con il suo passato, distruggere definitivamente quel luogo di ricordi penosi,
liberarsene per sempre... Che era insomma in sè ed era questo quello che voleva.
Spesso la perizia psichiatrica viene richiesta dal giudice alle prime battute del processo, prima che
ci sia qualsiasi possibilità di approfondire e valutare i fatti. Al perito viene posto un quesito in
teoria sensato, ma in pratica irrazionale. Definire se la persona al momento in cui ha commesso il
fatto era o meno capace di intendere e di volere e se può in atto essere considerata socialmente
pericolosa.
In altri termini si definisce a priori che il fatto sussiste e che la persona abbia commesso il fatto,
e si chiede al perito di indagarne le motivazioni. Come valuterà il perito le risposte di chi non ha
commesso i fatti di cui è accusato? Essendo uno psichiatra probabilmente tradurrà il tutto in diagnosi
psichiatriche, dirà che la consapevolezza della persona e il suo senso della realtà è totalmente
viziato, arrivando alla conclusione che la persona era totalmente incapace di intendere e di volere al
momento dei fatti e, vista l'assenza di ogni critica, che è socialmente pericolosa.
Potrà sembrare paradossale, ma in oltre 10 anni che bazzico in queste storie di ordinaria follia non
ho mai assistito ad un processo penale costruito sul confronto fra accusa e difesa, indipendentemente
dalla gravità del reato commesso. Al contrario, se, di fronte ai crimini più gravi, l'attenzione
dell'opinione pubblica impone un certo approfondimento, in quelli numerosi di lieve entità la scure
della giustizia sommaria si abbatte a volte con cecità inaudita.
Non affermo che dentro i manicomi criminali ci siano solo persone penalmente innocenti. Anche se ciò
non deve essere taciuto. Affermo che tutte le persone lì rinchiuse sono responsabili delle loro azioni.
La gran parte degli avvocati che ho conosciuto condividono il pregiudizio circa la malattia del loro
assistito. Per cui lo difendono dal carcere appoggiando la richiesta di proscioglimento per infermità
mentale e non opponendosi al suo invio in ospedale psichiatrico giudiziario (OPG). I giudici, gli
avvocati, i familiari, e ogni altra persona sensata coinvolta in un processo penale a carico di un
paziente psichiatrico, sono concordi nel pensare che egli vada curato e che il ricovero in OPG sia un
atto non punitivo, ma terapeutico. Del resto psichiatria e privazione della libertà sono sempre andati
a braccetto, tanto da confondersi spesso l'una nell'altra.
L'esigenza di prosciogliere qualcuno da un reato, dichiarandolo non imputabile, può sembrare
un'esigenza di tutela. In realtà, nel campo della cosiddetta infermità mentale, l'esigenza prioritaria
è negare senso alle azioni del folle ed evitare ancora una volta di confrontarvisi. Come per il
trattamento sanitario obbligatorio, anche qui l'elemento che trasforma una violenza in un fatto
terapeutico è il preventivo giudizio di insensatezza delle azioni, dei pensieri e del discorso
dell'altro. Quando chiediamo di prosciogliere qualcuno, affermiamo implicitamente che non è colpevole
delle sue azioni. Il che equivale a dire che noi non siamo colpevoli delle nostre reazioni. Se
leghiamo qualcuno al letto perchè ha divelto le finestre del reparto per scappare, lui non è colpevole
e quella non è una punizione: l'unico colpevole è la malattia e quella è la sua cura. Per questo
nessuno di noi è colpevole per le lobotomie, l'elettroshock, l'internamento a vita...
Se dichiariamo qualcuno non imputabile non è certo per fargli un regalo. Al contrario. Se egli evita
il carcere, ha buone probabilità di incorrere in una misura di sicurezza e finire rinchiuso in OPG per
un minimo di 2, 5 o 10 anni, a seconda del reato contestatogli. Il lasciapassare per l'inferno
manicomiale è dato dal giudizio di pericolosità sociale che il giudice può ricavare dalla perizia
psichiatrica disposta o dalla valutazione dei fatti e delle circostanze inerenti il reato, compresa
la previsione che la persona possa porre in essere altri reati.
Il proscioglimento per infermità mentale non provoca automaticamente l'internamento in OPG. Esso deve
essere perfezionato dal giudizio di pericolosità sociale. Se, pur prosciolti dal reato, si dimostra di
non essere persone socialmente pericolose, in teoria si può tornare liberi senza che ci venga comminata
alcuna pena o misura di sicurezza.
Questo passaggio è molto importante per cercare di costruire ipotesi di difesa dall'internamento. Così
come è importante impostare una linea difensiva che rifiuti la perizia psichiatrica e porti ad una
verifica dei fatti in sede giudiziaria. Dobbiamo chiedere in altre parole di essere giudicati per ciò
che abbiamo fatto e non per quello di cui siamo accusati, anche se questo ci espone al rischio di
finire in galera.
Ciò per una serie di motivi. Primo fra tutti il fatto che l'ospedale psichiatrico giudiziario è, nei
fatti, una prigione. La sua gestione dipende dall'amministrazione penitenziaria e il suo regolamneto è
quello delle carceri. Secondariamente perchè alla misura afflittiva propria del carcere esso somma la
coartazione tipica degli ospedali psichiatrici. Infine perchè, a differenza di ciò che appare a prima
vista, l'internamento in OPG può trasformarsi in una condanna all'ergastolo, indipendentemente dal
reato commesso o di cui si è accusati.
Provo a spiegare quest'ultimo punto.
Una persona che minaccia il medico che ha richiesto il suo trattamento sanitario obbligatorio, può
essere prosciolto dal reato contestatogli, visto che non troviamo sensato manifestare un sentimento di
ingratitudine verso chi ha permesso il nostro internamento. Egli, poi, sarà facilmente riconosciuto
socialmente pericoloso poichè è presumibile che torni a minacciare il medico, che è presumibile che
torni a minacciarlo con un ulteriore TSO. Non verrà quindi giudicato ma costretto alle cure presso un
OPG per un periodo di almeno di 2 anni. Quella che gli viene comminata si chiama in termini giuridici
misura di sicurezza. In pratica è una pena senza limiti di durata. La legge stabilisce infatti solo la
durata minima dell'internamento. A conclusione di questo periodo viene fatto un riesame della
pericolosità e se gli operatori che ci custodiscono, ci puniscono e ci curano, ritengono che siamo
ancora socialmente pericolosi, ci viene comminato un ulteriore proroga della misura di sicurezza
(in genere 6 mesi).
Si può entrare in un manicomio criminale per aver minacciato o reagito ad un operatore o un vigile
urbano in risposta ad un loro atto di autorità e prevaricazione nei nostri confronti e rischiare di
non uscirne più. Ciò indipendentemente dalla nostra buona condotta. Vantando funzioni di cura e di
risocializzazione, l'elemento che ha più peso nel riesame di pericolosità è la risposta alla domanda
C'è qualcuno, da qualche parte, disposto a riaccoglierlo e a garantire per lui? Se non si trova un
riscontro positivo a questa domanda, la persona resta dentro ad infinitum.
Tutto ciò ci sembra sensato, perchè riteniamo che gli internati in OPG abbiano compiuto reati contro
la loro volontà e, quindi, crediamo che vadano controllati costantamente, se non in carcere, a casa,
agli arresti domiciliari psichiatrici o al confino forzato in qualche comunità psichiatrica. Entrati
in OPG difficilmente si esce se qualcuno non ci reclama, difficilmente si torna ad essere persone
libere.
Sono d'accordo con lo psichiatra A. Manacorda quando afferma che è
"...maturo il momento di cominciare a pensare alla persona con disturbo psichico come ad una persona
che, analogamente ad ogni altra, può e deve essere ritenuta nella debita misura titolare dei suoi atti,
e quindi in grado di risponderne, se del caso anche di fronte all'istanza penale"
(A. Manacorda 1988, Folli e reclusi, pag. 29)
Sono d'accordo nel proporre l'abolizione delle norme sul proscioglimento per infermità di mente, come
l'unica strada concreta di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Non solo. Ritengo che a
giudicare secondo le leggi vigenti, molte delle persone in atto rinchiuse in OPG potrebbero essere già
libere e altrettante non sarebbero mai state recluse.
Spesso da più parti si afferma che abolire il proscioglimento per infermità mentale coincide con il
rischio concreto, per le persone dichiarate folli, di finire in galera. Tale sensibilità, che dovrebbe
valere per ciascuno di noi, finge di non vedere e di non sapere che l'ospedale psichiatrico giudiziario
è, nei fatti, un carcere. Non solo con il proscioglimento non si evita la pena, ma ci si impedisce
anche di difenderci e di far valere le nostre ragioni.
"Se riconosciamo alla persona con delirio di persecuzione lo status soggettivo di persona perseguitata,
non vi è alcun motivo di considerarla non imputabile. Ritenerla tale vuol dire infatti non poterla
chiamare a rispondere penalmente dei suoi atti. E' come se dichiarassimo che, siccome è delirante di
persecuzione, ogni gesto che faccia, ogni scelta che compia, è sotto il profilo giuridico automaticamente
invalidato dalla sua condizione psicopatologica. Se invece teniamo ferma la sua condizione soggettiva,
una volta che lo si sarà considerato comunque imputabile, egli potrà essere giudicato - e se del caso
sanzionato - alla stregua di chiunque altro.
Non sarà quindi perseguibile per calunnia, se abbia denunciato il presunto persecutore: egli infatti,
in tal caso, lungi dall'incolpare di un reato taluno che egli sa innocente (art. 368 c.p.), si rivolge
in modo putativamente motivato e soggettivamente legittimo all'autorità, perchè tuteli nelle forme di
legge quegli interessi che egli avverte lesi. Se avrà ingiurato, minacciato o percosso il presunto
persecutore, si esaminerà la fattispecie tenendo sempre conto della condizione soggettiva dell'autore
del reato. Se infine lo avrà ucciso, sarà responsabile di un omicidio alla stessa stregua di chiunque
uccida chi realmente lo perseguita: ed il fatto di essere stato (o di essersi sentito) perseguitato
potrà, a seconda dei casi, essere ritenuto una circostanza attenuante (per esempio per aver agito in
stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, cosidetta provocazione, art. 62, 2, c.p.); o
invece aggravante (ad esempio, per aver agito per motivi abietti o futili, art. 61, 1, c.p.). Se poi
la persona con delirio di persecuzione abbia ucciso il presunto persecutore perchè, ad esempio, a
causa di un'allucinazione lo vedeva in quell'istante armato contro di lui e concretamente pronto ad
ucciderlo, allora potrà, come chiunque altro in circostanze analoghe, essere assolta per aver agito
in stato di legittima difesa putativa ."
(A. Manacorda 1988, Folli e reclusi, pag. 26)
Ciò che viene definito delirio di persecuzione dagli psichiatri è la convinzione soggettiva che altri
voglia farci del male, anche se questi lo nega e nessuno è d'accordo con noi. Un'idea di tale natura,
come ho cercato di mostrare in questo libro, non può essere considerata sintomo di nessuna malattia.
Come ogni altra idea sulla natura dei nostri rapporti con gli altri può essere giusta o errata,
dimostrabile o meno, condivisa o rifiutata, ma a rigor di logica non può essere annullata.
Non dimentichiamo che con questa etichetta sono tacciati da decenni coloro che semplicemente rifiutano
di essere aiutati dalla psichiatria e definiscono questo aiuto come una violenza nei confronti della
loro mente, del loro corpo e della loro vita. I reati commessi da persone etichettate malate di mente
non sono qualitativamente diversi da quelli commessi da persone ritenute, a torto o a ragione, sensate.
L'esempio di MANACORDA citato dimostra quale scenario possibile di analisi e di confronto potrebbe
aprirsi se accettiamo di riconoscere verità soggettiva alle nostre opinioni e ai motivi che ci
spingono ad agire. Non c'è infatti alcuna valida ragione che può farci giudicare sensato l'omicidio
commesso da un uomo geloso tradito dalla moglie e insensato quello commesso da un uomo geloso che
riteniamo non abbia motivo di esserlo. Il fatto di valutare in maniera errata una situazione, infatti,
non ci rende meno responsabili di quello che facciamo.
Credo che spesso scegliamo di agire in modo inaccettabile agli altri. Altre volte siamo costretti a
farlo. Sempre siamo coscienti di ciò che stiamo facendo anche se non sempre sappiamo prevederne i
risultati. In ogni caso ne siamo in tutto o in parte responsabili. In ogni caso la responsabilità
è un fatto che riguarda noi e le nostre relazioni con gli altri. Nessuna malattia può essere
responsabile delle nostre azioni.