[Da "Il
pugnale", numero unico del maggio 1996]
La politica è larte della separazione. Dove
la vita ha perso la sua pienezza, dove il pensiero e lazione dei singoli
sono stati sezionati, catalogati e rinchiusi in sfere staccate lì
comincia la politica. Avendo allontanato alcune attività degli individui
(la discussione, il conflitto, la decisione in comune, laccordo) in una
zona a sé che pretende di governare forte della sua indipendenza
tutte le altre, la politica è allo stesso tempo separazione tra
le separazioni e gestione gerarchica della separatezza. Così essa si
rivela come specialismo, costretta a trasformare il problema irrisolto della
propria funzione nel presupposto necessario per risolvere tutti i problemi.
Proprio per questo il ruolo dei professionisti in politica è indiscutibile
e tutto ciò che si può fare è sostituirli di tanto
in tanto. Tutte le volte che i sovversivi accettano di separare i vari momenti
della vita e di cambiare partendo da questa separazione le condizioni
date, diventano i migliori alleasti dellordine del mondo. Proprio mentre
aspira ad essere una sorta di pre-condizione della vita stessa, la politica
soffia ovunque il proprio alito mortifero.
La politica è larte della rappresentanza. Per governare
le mutilazioni inflitte alla vita, essa costringe gli individui alla passività,
alla contemplazione dello spettacolo allestito sulla propria impossibilità
di agire, sulla delega irresponsabile delle proprie decisioni. Allora, mentre
labdicazione alla volontà di determinare se stessi trasforma i
singoli in appendici della macchina statale, la politica ricompone in una falsa
unità la totalità dei frammenti. Potere e ideologia celebrano
così le proprie nozze funeste. Se la rappresentanza è ciò
che toglie agli individui la capacità di agire, fornendo loro come contropartita
lillusione di essere partecipanti e non spettatori, questa dimensione
del politico riappare sempre là dove una qualsiasi organizzazione soppianta
i singoli e un qualsiasi programma li mantiene nella passività. Riappare
sempre là dove unideologia unisce ciò che nella vita è
separato.
La politica è larte della mediazione.
Tra la presunta totalità e i singoli, e tra individuo e individuo. Come
la volontà divina ha bisogno dei propri interpreti terreni, così
la Collettività ha bisogno dei propri delegati. Come nella religione
non esistono rapporti tra uomini ma solo tra credenti, così nella politica
a incontrarsi non sono gli individui, bensì i cittadini. I legami di
appartenenza impediscono lunione perché solo nella differenza la
separazione scompare. La politica ci rende tutti uguali poiché nella
schiavitù non ci sono diversità uguaglianza davanti a Dio,
uguaglianza davanti alla legge. Per questo al dialogo reale, che nega la mediazione,
la politica sostituisce la sua ideologia. Il razzismo è lappartenenza
che impedisce i rapporti diretti tra i singoli. Ogni politica è simulazione
partecipativa. Ogni politica è razzista. Solo demolendo nella rivolta
le sue barriere si possono incontrare gli altri nella loro singolarità.
Mi rivolto, dunque siamo. Ma se noi siamo, addio rivolta.
La politica è larte dellimpersonalità.
Ogni azione è come listante di una scintilla che sfugge allordine
della genericità. La politica è lamministrazione di quellordine.
«Cosa vuoi che sia unazione di fronte alla complessità del
mondo?» Così argomentano gli addormentati nella duplice sonnolenza
di un Si che è nessuno e di un Più tardi che è mai. La
burocrazia, fedele ancella della politica, è il niente amministrato affinché
Nessuno possa agire. Affinché ciascuno non riconosca le proprie responsabilità
nellirresponsabilità generalizzata. Il poter non dice più
che tutto è sotto controllo, dice al contrario: «non ci riesco
nemmeno io a trovare i rimedi, figuriamoci qualcun altro». La politica
democratica ormai si fonda sullideologia catastrofica dellemergenza
(«o noi o il fascismo, o noi o il terrorismo, o noi lignoto»).
La genericità, anche quella antagonista, è sempre avvenimento
che non avviene mai e che cancella tutto ciò che avviene. La politica
invita tutti a partecipare allo spettacolo di questi movimenti da fermo.
La politica è larte del rinvio. Il
suo tempo è il futuro, proprio per questo imprigiona tutti in un miserabile
presente. Tutti insieme, ma domani. Chiunque dice «io e adesso»
rovina, con quellimpazienza che è esuberanza di desiderio, lordine
dellattesa. Attesa di un obiettivo che esca dalla maledizione del particolare.
Attesa di una crescita quantitativa adeguata. Attesa di risultati misurabili.
Attesa della morte. La politica è il tentativo costante di trasformare
lavventura in avvenire. Ma solo se «io e adesso» decido ci
può essere un noi che non sia lo spazio di una reciproca rinuncia, la
menzogna che ci rende luno il controllore dellaltro. Chi vuole agire
subito è guardato sempre con sospetto. Se non è un provocatore,
si dice, di certo ne fa i servizi. Ma è listante di unazione
e di una gioia senza domani che ci porta al mattino dopo. Senza lo sguardo fisso
alle lancette.
La politica è larte dellaccomodamento.
Attendendo sempre che le condizioni siano mature, si finisce prima o poi con
lallearsi ai padroni dellattesa. In fondo la ragione, che è
lorgano della dilazione e del rinvio, offre sempre qualche buon motivo
per accordarsi, per limitare i danni, per salvare qualche dettaglio di un tutto
che si disprezza. La ragione politica ha occhi aguzzi per scovare le alleanze.
Non tutto è uguale, ci dice. Rifondazione Comunista non è certo
come questa destra rampante e pericolosa. (Alle elezioni non la si vota
siamo astensionisti, noi ma i comitati cittadini, le iniziative in piazza
sono unaltra cosa). La sanità pubblica è pur sempre meglio
dellassistenza privata. Un salario minimo garantito è pur sempre
preferibile alla disoccupazione. La politica è il mondo del meno peggio.
E rassegnandosi al male minore, si accette passo per passo quel tutto al cui
interno soltanto sono concesse le preferenze. Chi invece di questo meno peggio
non ne vuole sapere è un avventuriero. O un aristocratico.
La politica è larte del calcolo. Affinché le alleanze
siano proficue, degli alleati bisogna apprendere i segreti. Il calcolo politico
è il primo segreto. Occorre sapere dove si mettono i piedi. Occorre redigere
dettagliati elenchi degli sforzi e dei risultati. E a forza di misurare ciò
che si ha, si finisce col guadagnare tutto, tranne la voglia di giocarselo e
di perderlo. Così si è sempre presso di sé, attenti e pronti
a chiedere il conto. Con locchio fermo su ciò che ci circonda,
non ci si dimentica mai di se stessi. Vigili come i carabinieri. Quando lamore
di sé diventa eccessivo, chiede di donarsi. E questa sovrabbondanza di
vita ci fa dimenticare di noi stessi, ci fa perdere, nella tensione dello slancio,
il conto. Ma la dimenticanza di sé è il desiderio di un mondo
in cui valga la pena perdersi, di un mondo che meriti il nostro oblio. Ed è
per questo che il mondo così comè, amministrato da carcerieri
e da contabili, va distrutto per fare spazio al dispendio di noi stessi.
Qui comincia linsurrezione. Superare il calcolo, ma non per difetto, come
raccomanda quellumanitarismo che, chiotto chiotto, alla fine si allea
sempre con il boia, bensì per eccesso. Qui finisce la politica.
La politica è larte del controllo.
Che lattività umana non si liberi dalle pastoie dellobbligo
e del lavoro per rivelarsi in tutta la sua potenza. Che gli operai non si incontrino
in quanto individui e non cessino di farsi sfruttare. Che gli studenti non decidano
di distruggere le scuole per scegliere come, quando e cosa imparare. Che i famigliari
non si innamorino e non smettano di essere piccoli servitori di un piccolo Stato.
Che i bambini non siano qualcosa di diverso dalla copia imperfetta degli adulti.
Che non si liquidi la distinzione tra (anarchici) buoni e (anarchici) cattivi.
Che non siano gli individui ad avere rapporti, bensì le merci. Che non
si disobbedisca allautorità. Che se qualcuno attacca le strutture
dello sfruttamento dello Stato ci si affretti a dire che «non è
opera di compagni». Che le banche, i tribunali, le caserme non saltino
in aria. Insomma, che la vita non si manifesti.
La politica è larte del ricupero.
Il modo più efficace per scoraggiare ogni ribellione, ogni desiderio
di cambiamento reale, è presentare un uomo di Stato come sovversivo,
oppure meglio ancora trasformare un sovversivo in un uomo di Stato.
Non tutti gli uomini di Stato sono pagati dal governo. Ci sono funzionari che
non si trovano in parlamento e nemmeno nelle stanze adiacenti; anzi, frequentano
i centri sociali e conoscono discretamente le principali tesi rivoluzionarie.
Discettano sulle potenzialità liberatorie della tecnologia, teorizzano
di sfere pubbliche non statali e di oltrepassamento del soggetto. La realtà
lo sanno bene è sempre più complessa di qualsiasi
azione. Così, se auspicano una teoria totale è solo per poterla,
nella vita quotidiana, dimenticare totalmente. Il potere ha bisogno di loro
perché come loro stessi ci insegnano quando nessuno lo
critica il potere si critica da sé.
La politica è larte della repressione. Di chiunque non separa
i vari momenti della propria vita e vuole cambiare le condizioni date a partire
dalla totalità dei propri desideri. Di chiunque vuole bruciare la passività,
la contemplazione e la delega. Di chiunque non si lascia soppiantare da alcuna
organizzazione né immobilizzare da alcun programma. Di chiunque vuole
avere rapporti diretti tra individui e fa della differenza lo spazio stesso
delluguaglianza. Di chiunque non ha alcun noi su cui giurare. Di chiunque
disturba lordine dellattesa perché vuole insorgere subito,
non domani o dopodomani. Di chiunque si dona senza contropartita e se ne dimentica
per eccesso. Di chiunque difende i propri compagni con amore e risolutezza.
Di chiunque offre ai ricuperatori una sola possibilità: quella di scomparire.
Di chiunque rifiuta di prendere posto nellinnumere schiera dei furbi e
degli addormentati. Di chiunque non vuole né governare né controllare.
Di chiunque vuole trasformare lavvenire in una affascinante avventura.